La ninfomane di Bombay
June, una soave fanciulla di Chicago segretamente fidanzata con un sottaceto dalle tendenze criminali, parte per un soggiorno di sogno a Bombay. L’India, all’epoca colonia inglese, le appare subito come un grande, misterioso calderone, ribollente di misticismi assortiti e di intrighi biodegradabili.
L’esistenza che la ragazza conduce, ospite del comandante della guarnigione britannica, è lussuosa e spensierata ed il fascino del mistero indiano la avvince.
Uscendo un giorno dai suoi appartamenti, June viene rapita per errore da una setta di fanatici bramini diabetici. Il capo di costoro, il crudele Puuthrefaht, tutt’altro che infastidito dall’assurdo scambio di persona (i suoi uomini avrebbero dovuto infatti rapire un anziano patriarca ortodosso), considera June come un dono a lui recato da Bhrama in un momento di buon umore e la annette senza esitazione al suo gineceo privato.
A Bombay frattanto, il Capitano Fitzgerald, segnalato dai principali rotocalchi come il più serio pretendente alla mano della giovane, si allarma per la sparizione di June e parte alla sua ricerca insieme con un drappello di Fucilieri inglesi.
Il manipolo di coraggiosi vaga fra paludi infide e foreste intricate, imbattendosi in mille agguati e pericoli. Innanzitutto i Thugs, dei veri fissati dello strangolamento, eternamente appostati fra le frasche con laccetto rosso in mano in attesa di vittime. La loro divinità favorita è Khalì, la dea della collera dalle sei braccia, la quale, nonostante ciò, per prodigiosa connotazione divina, non si gratta mai.
I Thugs riescono a strangolare uno degli uomini di Fitzgerald dopo averlo tratto in trappola usando la marmellata di mirtilli. L’urlo, dapprima acuto, poi strozzato, del morente, semina il panico nel drappello dei suoi compagni ed esaurimenti nervosi a tappeto. Fitzgerald, assai scosso impartisce disposizioni per il raddoppio della guardia notturna. Raddoppia di conseguenza il numero delle vittime degli strangolatori ed il mattino seguente il Capitano riparte con i resti della truppa, provato da una violenta crisi isterica durante la quale ha bestemmiato frequentemente Khalì e parenti.
Nel frattempo June vive un’esistenza travagliata nella sua grigia prigione. Puuthrefaht si dimostra un vero bramino, brama cioè la giovane con una continuità sconcertante e la costringe a subire decine e decine di accoppiamenti al giorno. Individuo crudele quanto voglioso, egli è solito operare le sue vittime di appendicectomia senza anestesia al loro minimo tentativo di ribellione.
La povera ragazza, sfibrata dai ritmi copulatori e nutrita ormai solo per via endovenosa, entra in un complotto di vice bramini, teso a provocare le dimissioni di Puuthrefaht mediante una massiccia somministrazione clandestina di zuccheri e la sostituzione dell’insulina con della gazosa.
Mentre questi eventi si preparano, Fitzgerald, ancora distante dal covo dei bramini diabetici, deve vedersela con una tribù di scimmie impermalite dalla presenza di estranei nei loro territori. Il capitano ed i suoi vengono catturati e tradotti nelle inospitali celle del villaggio, prive peraltro dei servizi.
Condotti al cospetto del capo tribù, assistono con stupore alla manifestazione di entusiasmo incontenibile dello scimmione. Costui, un gorilla ciclopico di nome Darwin, riunisce tutti i sudditi e nel suo curioso linguaggio annuncia loro di aver finalmente trovato le prove di una sua antica teoria secondo la quale la scimmia discende dall’uomo e addita orgogliosamente Fitzgerald alla comunità, definendolo l’anello di congiunzione fra le due specie. Rifiorisce per l’ennesima volta nella vita del coraggioso Capitano il complesso delle orecchie pelose, che già tanto in passato lo ha fatto soffrire. La scoperta ha comunque l’effetto di mettere Darwin in un’ottima disposizione d’animo, tanto che acconsente a lasciare i prigionieri liberi di ripartire.
Contemporaneamente, nel rifugio segreto dei bramini il colpo di stato dà i suoi frutti: il perfido Puuthrefaht va in coma diabetico e, prima che possa riprendersi viene gettato a far da merenda a due coccodrilli buddisti. June, tratta in salvo dal gineceo, viene proclamata dai nuovi regnanti “Miss Eleganza” (è del tutto svestita) e nominata “Cugina in secondo grado di Visnù”. Come tale è dichiarata inviolabile.
Dopo i primi giorni di gioia e di sollievo, la fanciulla mostra di risentire della nefasta opera del suo defunto persecutore. June infatti è ormai definitivamente mutata d’animo. Contagiata dalle asfissianti voglie di Puuthrefaht, la candida giovinetta di un tempo è ora corrotta fin nelle viscere e preda disgraziata di una ninfomania di livello mondiale.
Così il suo sollievo dei primi momenti di libertà si muta ben presto in fastidio ed ella comincia a rammaricarsi amaramente della sua condizione di inviolabile. La tradizione considera sacre le cugine di Visnù e tramanda che colui che le sfiora viene tramutato in aragosta.
Stanti in tal modo le cose, a June riesce impossibile saziare con chicchesia le voglie che il da lei rimpianto Puuthrefaht aveva accese. Perfino un gibbone rimbecillito, fatto bersaglio delle proposte laide della ragazza, fugge per non dannarsi.
Ma proprio quando il suo ardore ed il suo disappunto sono giunti al colmo, ecco arrivare al covo Fitzgerald con i suoi uomini, drammaticamente somiglianti, per tutte le traversie affrontate, a tanti spazzolini da denti usati.
Il capitano, ebbro di gioia, corre verso l’oggetto del suo amore, gettandosi ai suoi piedi. Mentre l’eroico condottiero pronuncia, come nei films, delicate dichiarazioni d’amore che secondo lui, dopo essere state ricambiate con veemenza dalla donna amata, dovrebbero essere seguite dai titoli di coda, June scruta febbricitante tutti quegli uomini, molto malridotti ma per nulla induisti di religione. Scorgendo in ciò l’opportunità così a lungo attesa, ella si lancia contro di essi con urla selvagge, violentandoli uno ad uno, reiteratamente.
Pochi sopravvissero a tanto strapazzo e lo stesso Fitzgerald morì. Affranto di delusione per il crollo clamoroso del suo ideale amoroso, si privò nobilmente della vita, annusando un pedalino logoro che pendeva da un albero di sicomoro. June, chetati gli istinti, prese la via del ritorno verso Bombay. Ma nel libro del destino era scritto che ella non dovesse più rivedere la città. Durante il viaggio si imbattè in Darwin, l’esuberante scimmione scienziato e tra essi esplose un amore assassino. June andò così in sposa al Capotribù delle scimmie e visse d’amore con lui fino a restarne vedova.
Nel retro di copertina del libello “Postintelligente” c’è una nota, a firma dell’editore Enzo Valentini che ha stampato il libretto, che nel finale recita così:
“… I racconti di Piermario possono apparire a prima vista tracimanti e sbrodolanti di stupidaggini, ma solo un idiota può affermare che essi siano cretini; al contrario seguono il principio di ogni vaccino che si rispetti: inoculare i bacilli del male quando si è sani ed il fisico è in grado di reagire. Insomma, facciamo gli stupidi finché siamo ancora intelligenti, dopo sarebbe troppo tardi, potremmo diventare degli stupidi veri o, addirittura, postintelligenti”
Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.