Enrico Mattei, uno dei più illuminati manager italiani, venne ucciso la sera del 27 ottobre 1962: il suo aereo cadde a Bascapè vicino Pavia poco prima di atterrare a Linate.
Era un uomo che dava fastidio perché la sua strategia economica era quella di spezzare il monopolio delle “sette sorelle”, non soltanto per il tornaconto dell’Eni, ma anche per stabilire rapporti nuovi tra i paesi industrializzati e paesi fornitori di materie prime.
Una strategia inaccettabile per le sette grandi compagnie petrolifere che si spartivano le ricchezze energetiche del mondo.
Dall’inchiesta della Procura di Pavia, riaperta negli anni ‘90, risultò evidente che l’insabbiamento di quel crimine fu diretto dai vertici dello Stato.
Per il sostituto procuratore Vincenzo Calia, Enrico Mattei fu senza dubbio vittima di un attentato.
Calia dimostrò che l’esplosione del bimotore Morane-Saulnier su cui viaggiavano il presidente dell’Eni, il pilota Bertuzzi ed il giornalista William McHale, fu causata da una bomba collocata nel vano carrello del velivolo.
Le prove dimostravano che l’inchiesta del 1962, presieduta dal generale Savi, fu in realtà solo un depistaggio.
Secondo molti per l’eliminazione di Mattei ci fu un accordo tra certi “americani” e Cosa nostra e a mettere una bomba sull’aereo sarebbero stati alcuni uomini della mafia.
Anche Buscetta rivelò che la mafia americana chiese a Cosa nostra di eliminare Mattei “nell’interesse delle maggiori compagnie petrolifere americane”.
Mattei voleva spezzare la morsa costruita dal cartello internazionale che voleva escludere l’ENI dal mercato, negandogli concessioni nei paesi produttori.
Mattei allora dichiarò guerra al sistema coloniale delle concessioni, offrendo ai produttori un accordo rivoluzionario: il 50% dei profitti contro la percentuale irrisoria offerta dal cartello, che infatti reagì furiosamente rovesciando governi, come quello libico e quello iraniano che avevano accettato l’offerta e dato all’ENI grandi forniture.
Nel 1961, quando ancora non si prospettava una soluzione della questione algerina, Mattei, sostenendo il Fronte di Liberazione Nazionale, aveva così ipotecato un trattamento preferenziale dal futuro governo.
Lo capì De Gaulle che decise di riconoscere l’indipendenza algerina, così la compagnia petrolifera francese ottenne gli stessi privilegi dell’ENI.
L’Executive Intelligence Review, attraverso una ricostruzione del caso Mattei, affermò che il presidente dell’Eni era riuscito ad aprire un canale con la Casa Bianca, nonostante la stampa americana avesse dipinto Mattei come un pericoloso anti-americano.
Mattei era riuscito a far capire all’amministrazione Kennedy che tutto ciò che desiderava era di essere trattato alla pari, che egli non ce l’aveva con gli Usa, ma con i metodi applicati dal cartello del petrolio.
L’amministrazione Kennedy accettò il dialogo e fece pressioni sulla compagnia petrolifera Exxon, per concedere all’Eni dei diritti di sfruttamento.
L’accordo sarebbe stato celebrato con la visita di Mattei a Washington, dove avrebbe incontrato Kennedy, e dal conferimento di una laurea honoris causa da parte della prestigiosa università di Stanford.
Alla vigilia di quel viaggio, il 27 ottobre 1962, Mattei fu assassinato. Un anno dopo, fu ucciso Kennedy.
Ma come era iniziato tutto ciò?
Il 15 maggio 1945, il ministro del Tesoro Soleri scriveva a quello dell’industria Gronchi, circa l’Agip:
“Le attuali condizioni del bilancio […] hanno indotto questo ministero a sottoporre ad attento esame la questione delle ricerche petrolifere per conto dello Stato”.
Ritenendo che i risultati fossero scadenti, concludeva di sospendere ogni nuovo programma di ricerca petrolifera.
Allegò due punti di partenza per iniziare la liquidazione: dare in concessione a privati i cantieri attivi sotto congruo corrispettivo a favore dell’erario e chiudere gli altri cantieri che non avevano mai dato risultati apprezzabili. Gronchi girò la missiva a Mattei, appena nominato Commissario, con la richiesta di una dettagliata relazione sull’argomento prima che venisse presa una qualsiasi decisione.
Dagli Stati Uniti giunsero offerte per le attrezzature dell’Agip, ma la generosità dell’offerta (250 milioni di dollari) insospettì Mattei, e non meno lo incuriosirono il numero di visite di tecnici stranieri e quello delle richieste di permessi di ricerca per zone in cui l’Agip aveva già svolto attività esplorativa.
Caduto il governo Bonomi, venne nominato il gabinetto Parri, nel quale mantenne la poltrona di ministro il già ricordato Soleri, che però successivamente morì, sostituito da Federico Ricci.
Mentre Mattei strappava a Parri del tempo per preparare una dettagliata relazione, Ricci confermò la linea precedente.
Durante gli studi per stilare la relazione, Mattei venne però a sapere del pozzo n.1 di Caviaga, tenuto segreto dall’ingegnere Zanmatti ai politici, e su questa scoperta basò la sua intenzione di salvare l’ente.
Il Commissario riunì segretamente lo staff tecnico dell’ente e concentrò le forze aziendali su quei siti di ricerca nei quali era più probabile il ritrovamento di materiale energetico.
Richiamò in servizio inoltre l’ingegner Carlo Zanmatti, epurato perché repubblichino ma che aveva buona conoscenza dello stato delle ricerche, e ne fece un suo consigliere privato.
Nel frattempo operò artifici contabili per destinare fondi alla ricerca, attingendoli dagli stanziamenti ricevuti per l’ordinaria amministrazione.
Subito giunsero sul governo italiano pressioni da parte del cartello petrolifero, accompagnate da falsi dossier coi quali si insinuava il sospetto che Mattei fosse animato da simpatie comuniste essendo un’ex partigiano.
Si agiva dunque affinché fosse allontanato.
Il governo degradò Mattei a semplice consigliere d’amministrazione e lasciò che le Sette Sorelle potessero fare i loro comodi con le concessioni, permettendo loro anche di usufruire gratis degli studi tecnici dell’Agip iniziati negli anni venti e portati avanti a spese dello Stato italiano.
Anche altri politicanti italiani iniziarono a far guerra a Mattei, tanto che nel 1947 infilarono nell’amministrazione dell’Agip Cefis, Girotti e un avvocato siciliano, Vito Guarrasi, che aveva le mani in pasta dappertutto e pareva che fosse colluso con la mafia.
I nuovi membri rimossero Mattei dalla carica di vicepresidente, ma non riuscirono a cacciarlo.
Ottennero però l’accesso agli archivi segreti dell’Agip e fecero chiudere il pozzo di Caviaga 1, mentre la grande raffineria di Marghera veniva svenduta alla BP.
Il ridimensionamento non fu gradito a Mattei, che aveva puntato tutto sulla causa energetica: insieme all’amico Marcello Boldrini, iniziò allora a frequentare il “salotto buono” di Milano, ritrovandovi, dopo l’esperienza partigiana, buona parte del mondo economico-politico.
Uno dei frequentatori più assidui di quelle compagnia, Ezio Vanoni, colse la proposta di Mattei di barattare il suo appoggio alle elezioni con un’ampia delega alle materie petrolifere.
De Gasperi nel 1948 vinse largamente le elezioni anche grazie alla capillare campagna elettorale svolta in suo favore da Mattei, e nominò Boldrini presidente dell’Agip e Mattei suo vice.
Boldrini delegò il comando al suo vice.
La riconquistata autonomia gestionale si rivelò utile per fare a Roma pressioni più insistenti affinché all’Agip venissero dati nuovi fondi per la ricerca.
Nel giro di un anno i ritrovamenti di giacimenti di gas da parte di un’Agip forte di un personale motivato, in cui la paura dei licenziamenti era stata sostituita dall’aperto entusiasmo, sarebbero ripresi in molte zone della piana del Po e sino al 1952 ci fu un’escalation di risultati positivi che costrinsero il governo ad autorizzare la costruzione di gasdotti che avrebbero raggiunto le aree industriali di Milano.
Le industrie milanesi ricevevano quindi, direttamente dalle tubazioni, risorse energetiche a basso costo.
Nel 1952 l’Agip si preparò ad entrare nell’Ente Nazionale Idrocarburi, così Mattei assunse il ruolo di responsabile nazionale delle politiche energetiche, governando il neonato organismo, prima in qualità di presidente, poi anche da direttore generale.
L’ENI, insomma, era Mattei e Mattei era l’ENI.
Il manager aveva trasformato così l’Agip fascista in un settore dell’Eni, ben sapendo che avrebbe dato alle industrie italiane ciò che a loro serviva di più per il rilancio economico: l’energia.
Stabilizzò inoltre la linea operativa dell’Agip, del quale ammodernò la struttura organizzativa, importando dagli Stati Uniti l’idea di motel e creando i Motel Agip.
Costituì inoltre la Liquigas, una azienda che rivoluzionò la distribuzione del gas operando una politica dei prezzi che gli garantì presto una quota di mercato rilevante, sfruttando la capillarità della rete distributiva.
Riattivò la linea produttiva della chimica per l’agricoltura, usando il metano nella produzione degli idrogenati, che si usavano nella produzione di fertilizzanti e applicando prezzi di assoluta concorrenzialità.
Del settore chimico si sarebbe occupata l’Anic.
Su richiesta di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, Mattei rilevò anche la fabbrica Pignone, il cui fallimento creava problemi di occupazione in Toscana, e la mise a servizio delle esigenze del gruppo Eni con il nome di Nuovo Pignone, creando addirittura nuovi posti di lavoro oltre a salvare quelli pericolanti.
Le aziende principali del gruppo ENI erano quindi 5: Agip, Snam, Anic, Liquigas e Nuovo Pignone.
Mattei poi aveva compreso che ormai gli imperi coloniali erano in fase di declino e che le nuove repubbliche emergenti si presentavano come una ghiotta occasione per tener testa al principale cartello petrolifero, quello che imponeva prezzi d’acquisto indecenti.
Mattei trattò direttamente con i nuovi capi di Stato africani e asiatici, fornendo oltre che contratti molto vantaggiosi, posti di lavoro e riqualificazione della manodopera.
In tal modo poteva anche legare al mercato italiano, come consumatori finali dei nostri prodotti, i nuovi paesi liberi del Terzo mondo.
Mattei offriva ai Paesi produttori di diventare suoi partner e si impegnava a estrarre solo il 50% del greggio.
Non guardava il terzo mondo dall’alto in basso, ma in modo paritario, offrendo tecnologia, borse di studio e addirittura scuole formative, come venne fatto a Metanopoli, la città edificata in Val Padana.
E non truffava mai, perché Mattei da buon venditore sapeva che gli accordi capestro all’inizio fruttano, ma poi non fanno che altro crearti problemi e nemici.
Il 9 settembre 1960 nacque l’OPEC: ne fecero parte Venezuela, Iraq, Iran, Kuwait e Arabia.
Il sogno di Mattei era da sempre l’unificazione mondiale del mercato energetico per creare un nuovo sistema di scambio, equo ed etico, e ora sembrava che il mondo stesse abbracciando la sua visione.
Nello stesso anno Mattei arrivò a fare una mossa che le Sette Sorelle non avrebbero potuto prevedere: chiuse un accordo con l’URSS per ottenere un quantitativo considerevole di petrolio, petrolio grazie al quale si copriva il 25% del fabbisogno dell’Eni e, oltretutto, ad un prezzo mai visto prima.
Era il colpo definitivo al monopolio del cartello.
Mattei cercò allora anche il rapporto diretto con lo Scià di Persia, ottenendo una concessione a condizioni particolarmente favorevoli per l’Iran.
La sua successiva mossa fu la fondazione di un quotidiano, Il Giorno, cui delegare l’immagine del gruppo, affiancandogli due agenzie di stampa. Parallelamente alla nuova cura per l’informazione, Mattei allestì una struttura diplomatica impressionante, con l’apertura di numerosi uffici di rappresentanza dell’Eni all’estero, uffici i cui titolari erano rispettati come ambasciatori.
Comprendendo l’importanza crescente dell’energia come propellente per lo sviluppo economico, dal 1957 Mattei iniziò a considerare la possibilità dell’ENI di orientarsi verso l’energia nucleare.
Con capitale misto ENI e IRI fu costituita la SIMEA e iniziarono i lavori per costruire la Centrale nucleare a Latina.
La nuova società acquistò nel 1958 dagli inglesi della NPPC un reattore nucleare a grafite e uranio naturale.
In soli quattro anni venne costruita la centrale, ma il primo test completo di reazione nucleare avvenne solo il 27 dicembre 1962, due mesi dopo la morte di Mattei. Fu la prima a entrare in funzione in Italia.
Costituiva a quel tempo la più grossa centrale nucleare continentale d’Europa e nel suo campo poneva l’Italia dietro ai soli USA e Regno Unito.
Fu un uomo di forti contraddizioni, Enrico Mattei, ma fu l’unico manager italiano, assieme a Olivetti, che seppe creare le condizioni del nostro “boom economico”.
Lui, di umili origini marchigiane, non fu amato neppure dal gotha dell’imprenditoria nostrana, spesso cementata da una certa mentalità aristocratica e sorpassata.
Mattei era l’uomo che sapeva prevedere e fare, a ogni costo e con ogni mezzo, ciò che necessitava alla nostra economia, ancora troppo gracile.
Pagò con la vita questa sua dedizione agli interessi del Paese.
Lui raccontava spesso che da giovane assistette a questa scena:
“due cagnoni si avventarono su una ciotola di cibo.
Un gattino malconcio si avvicinò alla ciotola per mangiare qualcosa, ma uno dei cani gli tirò una zampata talmente forte da farlo volare contro il muro spaccandogli la spina dorsale.
Allora compresi cosa volevo fare nella vita”.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.